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Dario C

DC, il diversamente detto stimola la scoperta del quotidiano ancestrale

Menzione speciale per questo raffinatissimo artista. Colto, intellettuale militante, già protagonista del mio progetto Matera Alberga con una delle opere più identitarie e apprezzate da tutto il mondo dell’arte e dei collezionisti, ha cominciato a 16 anni con la grafica d’autore e la scultura identitaria, negli anni ’90 si è dedicato alla ricerca concettuale con il linguaggio narrativo ed espressivo del paradosso ironico, con risultati straordinari, per poi tornare negli ultimi anni alle installazioni, alla Narrative art, alla pittura e al disegno, pratiche in cui eccelle ma senza mai distogliere lo sguardo dalla narrazione antropologica, preziosissima per comprendere e farci comprendere da quali civiltà veniamo e perché oggi usiamo determinati oggetti, forme, spazi e abitazioni. Un lavoro analitico di rarissima bellezza e intelligenza.

Nelle sue nuove serie di pittura e collage (o entrambi) InForme e Utensili perduti, che vanno dal 2018 ad oggi, DC si chiede vero o non vero?

Queste le due possibili letture della realtà: tertium non datur, ovvero una terza interpretazione non è data, è esclusa. In filosofia e nelle scienze da sempre questa domanda è stata dibattuta e, a quanto sembra, in proposito sono state formulate solo varie teorie ma non si è mai giunti ad una soluzione.

L’umanità ricerca la verità sin dalle sue origini, provando a spiegare i fenomeni della natura, della vita, delle emozioni e della morte. Le scienze e la tecnica hanno spiegato tante questioni, hanno messo in moto processi di conoscenza inimmaginabili ma resta immane la dimensione dell’inconoscibile e dell’inspiegabile. Il sottaciuto, la bugia, l’indicibile, il sospetto, l’ipotesi, la congettura, la verosimiglianza, l’intuizione, l’ironia, la truffa, la contraddizione, il paradosso, il fraintendimento, la barzelletta, il leggere fra le righe, pur non essendo confutabili e sfuggendo alla verifica e alla prova dei fatti, lasciano spazio ad una comprensione nascosta nel non detto: una Babele silente dopo il suo crollo in cui non si capisce più niente e in cui rimane una possibile interpretazione alternativa.

Nel non detto si nasconde una terza possibilità, una terza dimensione non intelligibile ma intuibile, comprensibile all’inconscio e ricca di creatività ed emotività. Questa terza dimensione che si frappone tra il vero e il non vero, DC la definisce il terzo incluso, cioè la possibilità di definire una realtà paradossale che ci invita a immaginare, a figurarci ciò che non si vede, a connotare chi o cosa non è mai apparso. In verità è proprio questo terzo incluso a determinare uno spazio altro dove non è necessario dimostrare se è vero o non vero ma immaginabile anche se inconoscibile o impossibile.

Le ultime opere di DC, siano esse collage, acrilici su tela o entrambi, sono connotate quindi dal non detto o dal sottaciuto, insomma dal terzo incluso, dove a prima vista sembra tutto regolare ma, osservando meglio, si rivelano delle contraddizioni, dei paradossi, delle mancate identità definite, delle verosimiglianze, linee curve che si contrappongono a linee rette e spezzate, spazi e volumi che si costruiscono nella nostra mente e subito si contraddicono. Sono le provocazioni intelligenti, necessarie e intellettuali del terzo incluso, indispensabili per ampliare il nostro immaginario ben oltre gli angusti confini del visibile, del comprensibile, del dato per acquisito che ferma le nostre infinite possibilità di immaginare. Lo stesso vale per la serie Utensili perduti, una sorta di riedizione di oggetti e strumenti che, ibridati dalla fantasia dell’artista, diventano ricordi di qualcosa che conosciamo ma che stiamo perdendo.

Dall’Utensile per schiacciare i pensieri belli e goderne l’afrore all’Utensile potabile siamo di fronte a noi stessi, la nostra percezione, la nostra (perduta) capacità di trovare le soluzioni al nostro vivere.

Scorri le immagini fino in fondo e leggi cosa scrive lo stesso artista.



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XL, la mostra antologica del 2022

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DC, OPERE 2022 / 2024

STATEMENT

Gli utensili perduti

Gli animali non sovvertono l’ordine della natura, l’uomo si.

Il primo gesto sovversivo è stato prendere una pietra coricata per terra mettendola in piedi, infiggendola in verticale nella terra. Una pietra messa in verticale dall’azione e intelligenza dell’uomo, simbolo di fecondazione della terra e di messa in comunione tra cielo e terra, tra uomo e Dio. In quel gesto, così generativo, c’è tutta l’arte, la religione e l’architettura che ne seguirà. Un gesto umano che si è assunto una responsabilità enorme: quella di trasformare la natura in cultura. L’avvento della tecnica ha destituito la relazione millenaria uomo/natura, si è proposta con la sua assoluta efficacia potenziando il sapere umano e le abilità del suo corpo e anima, offrendo soluzioni e risultati un tempo inimmaginabili.

La tecnica, l’algoritmo, l’intelligenza artificiale, superano enormemente le potenzialità umane e tendono a sostituire l’attività lavorativa dell’uomo con maggiore precisione, velocità efficacia e redditività.

Il valore del gesto umano e la conoscenza della “macchina corpo umano” che nei secoli ha dimostrato, soprattutto in arte, di riuscire ad ottenere dei risultati di un valore estetico ed etico inimmaginabili, sta divenendo desueto e improduttivo e probabilmente molti gesti umani verranno dimenticati.

Gli utensili perduti emergono dal proprio oblio in tutta la loro utopia, non si sa a cosa servono, la loro forma rifiuta ogni possibile utilità, non funzionano, non hanno una materialità pertinente ma alludono alle funzioni del corpo umano, alle capacità prensili della mano, riflettono e ammettono l’azione, lo scorrere della forza. Propongono la genesi di una esperienza da condividere, epidermica, carnale, nuovi germogli di relazione, pur rimanendo nella dimensione dell’immaterialità della evocazione, della poesia, della spiritualità, della creatività, di quelle qualità inalienabili dell’umano, quasi come a rappresentare il residuo fisso dell’umano.

DC
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