Che gusto c’è: nutrimento, identità, relazione (22 Maggio 2019)

Nutrimento, identità, relazione, sono gli ingredienti del format originale di Arteprima Progetti (oggi Cascino Progetti) Che gusto c’è, una operAzione ideata da Raffaele Giannitelli insieme all’artista Filippo Riniolo e al curatore Francesco Cascino, andata in scena la sera del 22 Maggio 2019 a Roma, alla Taverna Volpetti, ristorante di ricerca e tradizione nel quartiere Testaccio.

Questo formArt originale indaga e trasforma i concetti di arte e di cena al ristorante e li fa diventare dispositivi di riscoperta e rilettura delle relazioni interpersonali. Un esperimento di socialità che ripensa la cena fuori ridefinendola come un momento di incontro e di esperienza conoscitiva.

La qualità del cibo è sì importante ma non è l’obiettivo della serata;
fine dei masterchef. I veri bisogni primari sono l’incontro, la conoscenza, la sorpresa. Tra curiosità e divertimento, i partecipanti, dopo un breve aperitivo di presentazione, sono invitati a offrire la cena a uno degli sconosciuti invitati dagli organizzatori, ordinando anche le pietanze, usando quindi solo l’istinto per capire i loro gusti. Il cibo viene usato come leva per far nascere nuove relazioni, compiendo un gioco ricco di profonda leggerezza, condivisione, socialità.

Com’è andata

imageInvitiamo 54 amici, molti dei quali non si conoscono tra loro.

Entriamo da Taverna Volpetti, nello storico e simbolico quartiere di Testaccio a Roma, e veniamo accolti da un aperitivo offerto da Matteo, il gentile proprietario, mentre Filippo Riniolo, l’artista, già racconta ad ogni gruppo di amici che entra nel locale una storia poetica (e inventata) legata al cibo, alla condivisione, all’incontro, in modo da creare nei partecipanti un immaginario stimolante e centrato sul luogo e sul perché della serata.

Francesco Cascino, Gianni Procaccino e Raffaele Giannitelli fanno da anfitrioni, insieme agli altri Soci di ARTEPRIMA; mettiamo gli ospiti a loro agio ma SENZA PRESENTARE NESSUNO A NESSUNO.

Mentre Filippo racconta la storia, appunta un cartellino adesivo sul petto di ogni partecipante con IL PROPRIO NOME DI BATTESIMO: in questo modo riporta alla percezione di persona quello che per noi, in un ristorante, è solo un altro avventore, quasi invisibile. Segnamo la prima differenza tra luogo e non luogo: il nome è la nostra condizione identitaria immortale ed atavica, c’è da sempre e resta per sempre.

Col nome sul petto siamo persone, con tutto il nostro bagaglio di desideri, errori, imperfezioni e alchimie.

imageVerso le 20,30 ci sediamo a tavola, ognuno con chi vuole; ovviamente molte comitive si siedono con i loro amici. Noi però diamo un’indicazione precisa: leggete il nome di chi NON SIEDE AL VOSTRO TAVOLO ma vi ispira quel certo nonsochè, e scegliete la LORO cena sulla base di semplici sensazioni. Si torna all’istinto, al sentire, all’empatia che comanda.

Poi ricordatevi che il conto di quello sconosciuto lo pagate voi.

Lo sguardo torna protagonista. La mente ragiona per immagini, suoni e profumi, questi elementi ci hanno guidato per millenni, ora noi li riportiamo nella vita pratica. Si aprono mondi imprevedibili e divertenti. Il mistero è una delle spinte primarie che ci fa uscire di casa, il fascino della sorpresa, del viaggio inaspettato.


La sala diventa così metafora del nostro universo, un microcosmo in cui ridiamo senso alle cose che ce l’hanno davvero. Niente più MasterChef, solo cibo buono e autentico.

Niente più apparire, solo essere sé stessi e interagire con gli altri in quanto tali, a viso scoperto. Nuove prassi e nuove pratiche emergono da questo gioco educativo che si può ripetere e applicare a ogni luogo di aggregazione: sviluppo identitario, scoperta, armonizzazione dell’ego individuale in IO collettivo, divertimento intelligente, seduzione dell’acquisto.

Ognuno poi ha disegnato "la sua serata" sulla propria tovaglietta di carta, realizzata apposta, e l’ha consegnata all’artista che ne ha fatto un collage.

Una serata davvero nutriente.

Guardate le foto, anche loro generano una certa percezione di come può essere andata.

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Nutrimento, identità, relazione sono gli ingredienti del format originale di Cascino Progetti Che gusto c’è, una operAzione originale e ripetibile. Questo formArt trasforma e riscopre il concetto di arte e di cena al ristorante e li fa diventare dispositivi di indagine e approfondimento delle relazioni interpersonali. Un esperimento di socialità che ripensa la cena fuori ridefinendola come un momento di incontro e di esperienza conoscitiva e, appunto, relazionale.

La qualità del cibo è importante ma non è l’obiettivo della serata; fine dei masterchef. Il vero bisogno primario è l’incontro, la conoscenza, la sorpresa. Tra curiosità e divertimento, i partecipanti, dopo un breve aperitivo di presentazione, sono invitati a offrire la cena a uno degli sconosciuti invitati dagli organizzatori, ordinando anche le pietanze, usando quindi solo l’istinto per capire se potrebbero essere di suo gradimento o meno. Il cibo viene usato come leva per far nascere nuove relazioni, compiendo un gioco ricco di profonda leggerezza, condivisione, socialità.


Come tutte le cose che vengono bene, il concept è stato studiato e realizzato con la proprietà, perché solo il dialogo tra committente e consulente porta il massimo risultato possibile. Tra le 54 persone (quasi nessun gruppo conosceva l’altro) lo scambio è avvenuto perfettamente e la serata ha portato in emersione che la seduzione dell’imprevisto, il desiderio alla base dell’aggregazione, dell’esplorazione, dell’acquisto sono insostituibili.

L’arte sa come rimettere in campo questi simboli e riaccendere le passioni come quella per il buon cibo, gli incontri interessanti, l’enigma stimolante, le belle serate italiane.

A distanza di sicurezza ma senza nessuna distanza emotiva.
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